Paolo Pinzuti
Bikenomics: la chiave per ripensare le città
Negli ultimi anni il dibattito attorno alla bicicletta si è spostato dal mondo dello sport e del tempo libero ed è diventato un tema politico. Il motivo è che sempre più persone nei paesi occidentali sono stanche del traffico e dell’inquinamento e che i millennials (i nati tra gli anni ’80 e i primi anni 2000) stanno dimostrando un crescente disinteresse nei confronti dell’automobile.
Allo stesso tempo, le persone stanno riscoprendo l’uso della bicicletta che sta diventando parte di un nuovo stile di vita in molte città del mondo occidentale. Dall’altra parte, questi pionieri a due ruote stanno fronteggiando una grande sfida: sono costretti a muoversi in città che, dal dopoguerra in poi, sono state progettate unicamente per ospitare le auto e, di conseguenza, devono confrontarsi con la resistenza di amministratori locali che, in molti casi, non voglio modificare lo stato attuale delle cose.
I politici che sono stati chiamati ad amministrare le nostre città, pensano (o per lo meno dovrebbero pensare) esclusivamente in termini di rapporti tra costi e benefici ed è per questo motivo che la grande domanda che sono soliti sollevare è sempre la stessa: “perché dovremmo ripensare le nostre città in funzione dei ciclisti se non esistono prove evidenti che una città in cui ci si muove in bici è meglio di una città in cui ci si muove in automobile?”
Questa è una buona domanda e se l’unica risposta che abbiamo a disposizione è un’entusiasta “perché le città piene di ciclisti sono più belle!”, non si può sperare di cambiare alcunché, perché la bellezza, come sappiamo, risiede esclusivamente negli occhi di chi guarda. Quello di cui abbiamo bisogno sono dati oggettivi e prove provate: in altre parole dobbiamo dimostrare in modo perentorio e inconfutabile che la bicicletta è un bene per le città. Ora: cosa è considerato “bene” in qualunque parte del mondo?
Facile: i soldi
E pedalare significa soldi sotto molti punti di vista: chi decide di usare la bici invece dell’auto ha a disposizione una quantità di soldi extra che può utilizzare per comprare beni e servizi o da spendere in bar e ristoranti del proprio circondario. Ma chi decide di compiere questa scelta sarà anche maggiormente in salute e quindi avrà un minore impatto sul sistema sanitario nazionale (che nella sola Europa è stimato attorno ai 110 miliardi di euro l’anno), contribuirà a ridurre il traffico e l’inquinamento (e questi sono altri 25 miliardi di euro l’anno), aiuterà lo sviluppo del commercio locale (i negozi situati in prossimità di reti ciclabili hanno registrato aumenti nelle vendite pari al 49%), e favorirà la riduzione della spesa per la manutenzione delle strade, oltre ad aumentare la propria produttività sul lavoro.
La buona notizia è che tutti questi dati non sono più frutto di mere intuizioni: negli ultimi anni, scienziati e studiosi di blasonate università e di riconosciute organizzazioni internazionali hanno puntato l’attenzione proprio sul ritorno di investimento della ciclabilità e hanno dato vita a una nuova disciplina che rischia di diventare la chiave di volta per ripensare le nostre città.
Questa disciplina si chiama bikenomics (una crasi tra le parole bike e economics)
Se volete saperne di più sulla bikenomics, potete iniziare a girare per biblioteche o a frugare sul web alla ricerca di studi e ricerche. Oppure potete partecipare al workshop che si terrà il 28 ottobre alla Fabbrica del Vapore a Milano dove, in occasione di CityTech, rappresentanti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, della European Cyclists’ Federation, del Politecnico di Milano e altri ancora presenteranno i risultati dei propri studi. Qui potrete scoprire l’esistenza di uno strumento per la valutazione dell’impatto economico sulla salute derivante dall’andare a piedi o in bicicletta, che i benefici economici generati dalla bicicletta sono di oltre 200 miliardi l’anno (più del Pil della Danimarca), che incentivare l’uso della bicicletta significa contribuire alla creazione di green jobs e che il rapporto tra costi e benefici di un investimento in ciclabilità può arrivare a 1:70.
L’obiettivo è dimostrare che destinare fondi per la promozione della ciclabilità non è un costo, ma un investimento: probabilmente il più saggio e sicuro investimento che un amministratore locale possa mai fare.
Il gap di fighezza del TPL
Secondo l’ultimo rapporto ISTAT sulla mobilità urbana, l’utilizzo dei mezzi pubblici da parte degli Italiani è in flessione: le ragioni sarebbero da ricercare in un'offerta di servizi poco adeguata che spinge, quindi, i nostri concittadini a ricorrere al mezzo privato a motore. Se questa analisi è assolutamente innegabile, occorre anche notare che per buona parte degli Italiani il mezzo pubblico viene visto come un ripiego, una specie di compromesso necessario per chi si vuole spostare e vuole evitare il traffico, i problemi di parcheggio ed economici associati all’uso del mezzo privato.
Si tratta soprattutto di una questione di immaginario collettivo: per gli Italiani il mezzo di trasporto per antonomasia è l’automobile e tutto il resto è solo un’alternativa generalmente assai poco gradita. Il dato è confermato dagli indici di gradimento riportati nell’ultimo rapporto ISFORT in cui, mentre l’automobile riceve un bell’ 8.1, i mezzi pubblici portano a casa poco più della sufficienza.
Non credo che sia solamente una questione di caratteristiche del servizio erogato, ma anche di una sorta di visione soggettiva: per quanto gli operatori del TPL possano impegnarsi ad offrire un servizio puntuale, pulito ed efficiente, si ritroveranno per sempre a scontare un certo “gap di fighezza” rispetto alle automobili private.
Per rendersene conto basta accendere la televisione e fare un po’ di zapping, oppure sfogliare una rivista qualsiasi: le pubblicità delle automobili sono sempre lì, pronte a mostrare il migliore dei mondi possibili. Il canovaccio è sempre lo stesso: il meraviglioso adone concentrato alla guida è circondato da una famiglia perfetta o da una compagna degna della copertina di playboy (a seconda del segmento di riferimento della vettura), assapora il piacere della guida ed è immerso in situazioni ideali: città senza traffico, strade libere, paesaggi mozzafiato o, magari, parchi naturali incontaminati.
Qualunque cosa accada, proprio a causa del “gap di fighezza” percepito tra l’auto privata e il trasporto pubblico, quest’ultimo difficilmente riuscirà ad uscire dalla spirale di tagli in cui è finito negli ultimi anni. Senza un cospicuo aumento della domanda di trasporto pubblico, è difficile ipotizzare dei fondi che condizionano l’offerta. Per ottenere un aumento della domanda, però, oltre al soddisfacimento dei criteri oggettivi (pulizia, efficienza e puntualità), occorre intervenire sui parametri soggettivi di tram, treni e autobus: bisogna renderli appealing e sexy agli occhi dei potenziali utenti.
Un operatore belga ha fatto un tentativo decisamente interessante (vedi il video qui sotto) e ci sono dozzine di altri casi che possono essere citati.
La cosa essenziale è concentrarsi sullo “story telling” e chi frequenta i mezzi pubblici sa bene che le storie da raccontare non mancano di certo: quante sono le storie d’amore nate in metropolitana o su un tram? Quante amicizie indissolubili sono figlie di anni di pendolarismo? Non varrebbe la pena raccontarle tutte una per una?
Cose che possono succedere solo su un mezzo pubblico
La nostra società è malata di atomizzazione e la dimensione sociale offerta dal trasporto pubblico è una delle possibili cure a disposizione.
Un approccio differente alla comunicazione del trasporto pubblico potrebbe essere il modo per colmare il “gap di fighezza” tra i mezzi pubblici e il mezzo privato.
Ne parleremo con maggiore diffusione in occasione del workshop “Sexy TPL” che si terrà durante Citytech a Milano, il 28 e 29 ottobre presso la Fabbrica del Vapore.